Primo romanzo e prima avventura del geniale investigatore privato creato da Conan Doyle nel 1887. La storia, così come tutte le altre, è narrata dall’amico Watson, un medico che conosce Holmes e con cui condivide le avventure.
Conan Doyle era un appassionato lettore dei racconti di Edgar Allan Poe e rimase affascinato dal personaggio di Dupin, da cui prese ispirazione per la creazione del suo Sherlock Holmes, a cui aggiunse la mania dei dettagli trovata in un suo insegnante nell’ospedale dove lavorava.
Medico anch’egli, sembra che sia lui stesso a narrare le storie poliziesche: il dottor Watson potrebbe essere Conan Doyle, che vede crescere il suo personaggio e lo insegue per le vie di una Londra caotica e a volte oscura.
Il romanzo in questione presenta una struttura particolare, è una storia nella storia. Si comincia con il crimine e con l’indagine e si prosegue con un racconto del tutto diverso, un’altra storia per spiegare i fatti che hanno portato all’episodio narrato.
Cambio di vista, dunque, e cambio dello stile narrativo. Inoltre dalla prima persona si passa alla terza. Un resoconto dei fatti che sembra essere fuori dal romanzo, ma che trova una sua logica nei due capitoli finali.
La conoscenza di Sherlock Holmes avviene per gradi, come se l’autore volesse introdurre il suo infallibile personaggio soltanto dopo aver destato la curiosità dei lettori. Noi conosciamo prima Watson, perché è lui a parlare.
L’entrata in scena di Holmes è quasi casuale, non presenta nulla di eclatante, non è scenica ma allo stesso tempo è d’effetto, proprio perché un personaggio di quello spessore appare come uno qualunque, lasciando poi tutti, narratore e lettori, a bocca aperta.
Sono davvero dei gialli le storie di Sherlock Holmes? In un vero giallo il lettore dovrebbe avere tutti gli indizi a disposizione per poter risolvere il caso, mentre ciò non avviene in queste avventure. Sono definite infatti storie poliziesche, storie di crimini e di casi risolti.
L’abilità è forse anche maggiore, perché nelle avventure di Sherlock Holmes riusciamo a essere coinvolti nonostante sia Watson a narrare, nonostante l’uso della prima persona, che in certi casi può essere limitante nella descrizione di alcune azioni.
Per non parlare di tutto il lavoro di deduzione che è stato comunque ideato e che richiede concentrazione per poter far coincidere tutti i tasselli disseminati nel corso del racconto. Perché alla fine tutto combacia e ci appare – a noi come a Watson – di una logica disarmante.
Il romanzo si legge bene, è breve ma denso di episodi. Lo stile narrativo è piacevole e non così antiquato. La coppia Watson-Holmes funziona alla perfezione, proprio per i caratteri così diversi, antitetici che hanno i due personaggi.
Sherlock Holmes è uno di quei personaggi che si amano e si fanno amare subito e il successo immediato che ebbero le sue storie ne è la prova. Soprattutto, i suoi racconti fanno ancora effetto oggi, dopo oltre un secolo dalla loro nascita.
- Uno studio in rosso
di Sir Arthur Conan Doyle (tit. origi. A study in scarlet) - Primo volume della collezine Sherlock Holmes, L’opera completa di Sir Arthur Conan Doyle
- Alberto Peruzzo Editore
- 412 pagine
- 1988
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