Un romanzo che non lascia scampo. Non posso definire altrimenti quest’altro capolavoro di Cormac McCarthy. Dopo aver letto La strada, un romanzo apocalittico, e Sunset Limited, un romanzo in forma di dramma, Figlio di Dio sembra quasi una storia a metà strada fra quelle due opere.
Nel romanzo La strada ci sono due protagonisti che hanno l’intero pianeta a disposizione per muoversi. L’ambiente crea la storia. In Sunset Limited c’è solo una stanza e sono i due protagonisti a creare la storia.
Figlio di Dio ci introduce invece in una comunità montana, di quelle sempre isolate, dove vige l’omertà, dove la solitudine, e la miseria anche, plasmano strani personaggi, fanno nascere deviazioni, malvagità.
McCarthy costruisce attorno a Lester Ballard un mondo freddo e sporco. E l’uomo ci appare indifeso, anche quando tutto sembra distorcersi in qualcosa di ripugnante e indescrivibile.
È un lento e raccapricciante susseguirsi di eventi che conduce a un punto di non ritorno, per poi discendere altrettanto lentamente verso una fine, se non decretata, logica e giusta.
Nel suo abituale stile asciutto e poetico insieme, McCarthy ci offre un panorama dell’America degli anni ’70, una storia basata su fatti reali, descrivendo la perversione come solo un genio della letteratura come lui poteva fare.
Questo figlio di Dio è un uomo come noi, ci dice Cormac McCarthy. Nient’altro che un uomo come noi. È così che lo presenta al pubblico. Un piccolo uomo che sbarca il lunario, solitario e non voluto. Un uomo che non riusciamo a disprezzare.
È questa la forza del romanzo. L’autore ha scritto una storia tremenda mettendo in campo un uomo che nella società di oggi sarebbe stato additato come il peggiore dei criminali. Ma qui no. In questa storia Ballard ci conduce per mano, mese dopo mese, lungo le ultime pagine della sua vita.
Lo vediamo ogni giorno sopravvivere come un animale selvaggio, una creatura partorita dai boschi che nessuno può sconfiggere. È questo, Lester Ballard. Uno sconfitto invitto. Non c’è altro modo per poterlo descrivere.
I dialoghi sono eccezionali. McCarthy pesa le parole, una per una. Sfoltisce frasi e periodi, restituendo una lettura che a tratti ci sembra velata di una patetica ironia.
Questa è la storia di Lester Ballard, un figlio di Dio come noi, che si districa in un ambiente ostile, una storia che si compone di scene indimenticabili e deplorevoli, in cui il lettore alternativamente si rabbuia, sorride, resta sconvolto.
Ma quando chiude il libro, dopo aver letto l’ultima pagina, tutta la storia scorre di nuovo nella sua mente, scena dopo scena, facendogli rivivere ogni momento di quel terribile anno nella vita di Lester Ballard.
- Figlio di Dio
di Cormac McCarthy - Einaudi
- 168 pagine
- 2008
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