Uscito nell’unico giorno a lui congeniale, il 2 novembre, Il Grande Notturno ci trasporta lontano nel tempo e nello spazio, perché quel che accade nella Milano di oggi ha radici più lontane e profonde. È un male che affonda nella leggenda e nella storia.
Ian Delacroix segue un binario doppio per quest’opera che racchiude horror e fantastico, in una miscela che sembra sempre più solida e sempre più affascinante. Una storia nella storia, come tante altre nella letteratura.
Il romanzo ci mostra l’incubo che sta per abbattersi su Milano in un crescendo sempre più stimolante, fino a quello che sembra l’epilogo tragico e inevitabile.
Ma, forse, è proprio a quel punto che comincia la vera storia del Grande Notturno. È a quel punto che Delacroix svelerà il suo nome e il suo volto, quello che dalla copertina non traspare.
Il pifferaio magico: oltre la fiaba
Il pifferaio di Hamelin, ben conosciuta fiaba tedesca scritta dai Fratelli Grimm, contiene già temi macabri e orrorifici, come molte fiabe. Un’infestazione di topi, la promessa della liberazione da parte di un misterioso pifferaio, il mancato pagamento e la vendetta.
Partendo da questi ingredienti Ian Delacroix prepara una nuova e più oscura fiaba, introduce un passato dimenticato, dà spessore a un personaggio antico, ne ricostruisce e ne reinventa la storia, riscrive il finale.
Il suono del Grande Notturno diviene così un canto di morte. I topi sono spariti, sì, ma per lasciare il posto a un incubo più terribile e mortale.
Il confronto con Apocalisse Z di Manel Loureiro
Il romanzo Apocalisse Z, come ho già scritto tempo fa, non aggiunge nulla di nuovo alla letteratura sugli zombi. È un continuo riprendere di fatti ed episodi dai film. C’è azione e avventura, ma già viste e vissute.
Il Grande Notturno introduce i morti viventi, i ritornanti, in modo meno plateale e, soprattutto, meno platealmente scontato.
C’è un riferimento a L’alba dei morti viventi, una scena inserita secondo me come tributo a un film che ha fatto storia. Ma Ian Delacroix ha lasciato più di un tributo a pezzi leggendari, basta leggere i titoli dei vari capitoli per rendersene conto.
E, parlando di tributi, che cosa pensare del dialogo fra Elettra e il Grande Notturno? Non ci ricorda, forse, l’opera di Ann Rice trasposta da Neil Jordan? Anche qui, in fondo, siamo di fronte a una scelta.
Horror e poesia
Lo stile di Ian Delacroix è evocativo e poetico. Ogni capitolo dell’opera apre con tre versi, che fungono da introduzione a ciò che stiamo per leggere. Ma la poesia continua, perché la scrittura dell’autore è ormai riconoscibile, si pone al di là del consueto.
Il Grande Notturno è una storia triste e drammatica. È una storia che ha bisogno della poesia per essere narrata. Non c’è spazio, nella dannazione di un’anima ferita, per uno stile freddo né per uno barocco. Solo la poesia può eternizzare – per usare un verbo caro all’autore – il dolore e la maledizione dell’uomo che fu un uomo e divenne il Grande Notturno.
- Il grande notturno di Ian Delacroix
- Edizioni XII
- 210 pagine
- 2 novembre 2011
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