Un horror che lascia il segno. La corsa selvatica si esprime attraverso un linguaggio dal sapore antico, ma con uno stile moderno. La struttura delle frasi e dei periodi è originale e personale, perfettamente integrata nella tipologia di storia che Coltri sta narrando.
Il mistero e la paura per qualcosa che non si conosce, a cui non si riesce a dare forma, traspira da questo linguaggio a ogni passo del breve romanzo. La parola, dunque, partecipa di questo incubo, contribuendo all’inquietudine generale che serpeggia fra personaggi e luoghi.
L’ambientazione è italiana, o meglio siamo nei primi anni del Regno Unito. Un periodo storico in cui leggenda e superstizione, specialmente nei paesi sperduti di montagna, era ancora verità, si impossessava delle menti chiuse e semplici della gente.
Coltri ci propone una riscrittura dell’horror. Un misto fra leggenda e storia in cui non sembra esserci un vero protagonista. Tutti sono preda dell’incubo che ha colpito quella parte del nord Italia, ma l’incubo stesso è preda degli uomini che tentano di fermarlo.
E’ la storia, la leggenda che ritorna, che si fa realtà, che affonda le sue radici in un passato oscuro, lontanissimo e ormai dimenticato, a essere protagonista indiscussa. Non una storia, anzi, ma più storie insieme, concatenate, che si intrecciano e si fondono l’una con l’altra.
Personaggi comuni si muovono a fianco di bizzarre e non comuni figure, che sembrano scaturite da una fiaba remota, eppure sono là, nella vita reale di tutti i giorni. Eppure quello che prima era solo una leggenda, adesso appare a tutti nella sua forma più sconvolgente. C’è.
Per una volta possiamo leggere del nostro paese, di leggende e voci rimaste sconosciute, ma che ci appartengono. Il fantastico e l’horror non sono predominio di luoghi e autori d’oltreoceano, ma possono nascere- nascono, anzi- ovunque ci sia una cultura.
L’Italia descritta da Coltri in questo romanzo, che sembra fondere il fantastico, l’horror e il giallo, ha una catalogazione storica, come già detto in precedenza, ma è un’Italia buia, nebulosa anche, non solo per la leggenda che si risveglia, ma per la grande varietà degli stessi personaggi, con realtà tanto diverse l’una dall’altra, contribuendo a rendere più marcato quel senso di mistero che si respira sin dall’inizio.
La scelta narrativa dei luoghi non poteva essere differente, così come la stagione. Piccoli paesi di frontiera, boschi, neve, comunità montane che restano isolate: tutto è perfettamente al suo posto, tutto richiama alla mente ciò che è sempre stato presente nell’immaginario collettivo.
Con un ritmo pacato Coltri ci introduce lentamente nell’orrore che viene dal buio, dai boschi, da luoghi ignoti, e a mano a mano riusciamo a sentire, dietro di noi, la corsa selvatica che avanza veloce, che guadagna terreno, ne veniamo a conoscenza a piccole dosi, fin quando l’incubo, che prima era solo bisbigliato tra una frase e l’altra, si rivela in tutta la sua mostruosità.
E da quel momento c’è soltanto una cosa da fare: correre.
- La corsa selvatica
di Riccardo Coltri - Edizioni XII
- 186 pagine
- 2009
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