Il volume, introdotto da un contributo di Alessandra Mauro e da un saggio di Branzi stesso in cui l’autore descrive il proprio rapporto con i “linguaggi dell’immagine”, è diviso in sei sezioni, che corrispondono ai diversi luoghi che l’autore ha fotografato nel corso degli anni. Ogni sezione è introdotta da un suo breve testo. Ed ecco che, pagina dopo pagina, il libro ci guida lungo una strada che si avrà modo di percorrere durante la presentazione. Si va infatti dalle foto in bianco e nero degli anni Cinquanta realizzate nella sua Toscana (Chiaroscuro toscano) alle immagini che danno conto di uno sguardo complessivo sulla Penisola (Scoperta dell’Italia), fino ad arrivare alle fotografie che riguardano il Mediterraneo, per passare poi a Mosca dove Branzi ha vissuto cinque anni in quanto inviato per la Rai, e Parigi. Il libro si chiude con la sezione Le forme, che contiene l’ultima produzione del fotografo, quella più sperimentale, e una breve nota autobiografica.
Il giro dell’occhio in cui ci conduce Piergiorgio Branzi con le sue fotografie è allora un turbine d’immagini e memorie, di ricordi, impressioni e scelte meditate. Di osservazioni coerenti in cui lo sguardo è sempre pronto a percorrere il mondo, tracciare e nominare la visione di profili di terre e di pietre. Una serie di vedute e “rivedute” che comunicano la stessa esperienza esistenziale dell’autore, il suo respiro. Quello di un corpo profondamente attento, lieto di continuare a vivere di meraviglia e di osservazione.
Piergiorgio Branzi nasce a Signa, Firenze, nel 1928. La sua attività di fotografo comincia nei primi anni ’50, periodo in cui conosce Vincenzo Balocchi, uno dei membri del gruppo La Bussola, un’associazione di fotografi creata nel 1947 con l’obiettivo di promuovere la fotografia come arte dal punto di vista professionale e non solo documentario. Nel maggio del 1953, Branzi espone per la prima volta nell’ambito della “Mostra della Fotografia Italiana”, presso la Galleria della Vigna Nuova a Firenze, e a partire dall’autunno di quello stesso anno si dedica sempre di più alla fotografia, partecipando alle principali esposizioni italiane e vincendo numerosi concorsi tra il 1955 e il 1957. Intraprende lunghi viaggi in motocicletta e in auto attraverso l’Italia e la Spagna, raccontando in immagini la vita quotidiana dei paesi che attraversa, rielaborando in modo originale la lezione di Henri Cartier-Bresson. Dopo una collaborazione con Il Mondo di Mario Pannunzio, nel 1960 viene assunto alla Rai e intraprende la carriera di giornalista che, di fatto, rallenterà la sua produzione fotografica. Come inviato della Rai, e su incarico di Enzo Biagi, si trasferisce a Mosca per circa cinque anni e diventa il primo corrispondente occidentale nella Russia di oltrecortina; dal 1966 al 1969 sarà, invece, corrispondente da Parigi. Nel 1969 torna in Italia, a Roma, per assumere l’incarico di commentatore del telegiornale. Le sue fotografie sono state esposte in numerose mostre dedicate alla fotografia italiana del Novecento (tra queste anche l’importante “ItalianMetamorphosis” al Guggenheim Museum di New York), di cui è considerato uno degli indiscussi maestri.
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